A lezione di legalità e non solo: Giovanni Paracuri incanta i ragazzi dell'Istituto Comprensivo Soleri

Venerdì 10 maggio. Presso il Centro incontri della Provincia, gli alunni delle classi seconde e terze delle scuole secondarie dell’Istituto Comprensivo di Cuneo Corso Soleri partecipano a un appuntamento speciale. Protagonista dell’incontro è Giovanni Paparacuri, autista del Consigliere Istruttore della Procura di Palermo Rocco Chinnici, unico sopravvissuto all’attentato che uccise il giudice e la sua scorta il 29 luglio 1983. Con lo sguardo dritto proprio solo degli uomini capaci di assoluta rettitudine morale, quest’uomo semplice cattura come un oratore consumato l’attenzione di 230 ragazzi.

Racconta loro la sua esperienza di uomo al servizio dello Stato, uno Stato in cui crede senza remore e che, dopo l’esplosione che gli ha fatto temere di non farcela, lo ha declassato dall’incarico di “autista giudiziario” al più basso grado della carriera, retrocedendolo a “commesso giudiziario”. Si intuisce che dietro la sua apparenza di uomo forte c’è qualcosa che ha rischiato di rompersi, un misto di rabbia e delusione, che tuttavia non ne piega l’impegno e la tenacia. A quelle parole, qualcuno si aggiusta nella poltrona, qualcun altro ha gli occhi lucidi: la certezza è di avere di fronte una testimonianza viva, che i libri di storia non potrebbero sostituire in nessun modo. Di quel lavoro pericoloso, che attrae i più spericolati quando Paparcuri dice “Mi piaceva guidare veloce in situazioni difficili”, si intuiscono anche le conseguenze personali che ne hanno accompagnato la vita. Spiega, Giovanni, che dopo l’esplosione di tritolo che ne ha pesantemente segnato il fisico e il morale, ha lavorato fianco a fianco con i giudici Falcone e Borsellino, nelle stanze di quello che viene chiamato nel gergo del Palazzo di Giustizia di Palermo il “bunkerino”, un ufficio blindato e protetto dalle scorte in cui si sono condotte le indagini che hanno portato al celebre Maxiprocesso che ha inchiodato la mafia siciliana. A volerlo in quel ruolo, spiega, fu Paolo Borsellino, che, condividendo le preoccupazioni di Falcone nel vedere assegnate le pratiche di informatizzazione a una ditta esterna, volle proprio lui, un giovane con la terza media appassionato di computer, ad avviare e curare personalmente la registrazione di tutti i dati nella prima banca informatica di indagini antimafia.

Degli oggetti contenuti in quelle stanze Giovanni racconta aneddoti e ricordi personali, come quelli delle papere collezionate da Falcone con la complicità scherzosa dei suoi amici e colleghi. “La prima papera gliela regalarono per prenderlo in giro in occasione di uno dei suoi rarissimi sbagli, perché Falcone era un uomo precisissimo. Ci fu un silenzio incredibile nell’ufficio, temevamo che si arrabbiasse. Invece il giudice scoppiò a ridere. Da quel giorno, il dottore Borsellino gliele nascondeva, quando Falcone era in missione, e al suo ritorno gli faceva trovare un biglietto con cui gli chiedeva scherzosamente dei soldi, in cambio della restituzione”.

I ragazzi sorridono, quando sentono Paparcuri dire, nel suo accento siciliano, che Paolo Borsellino, davanti alle ire del collega per il “furto”, gli rispondeva con ironia beffarda, appoggiato alla porta del suo ufficio: “Giovanni, tu vuoi arrestare i mafiosi e non sai trovare una papera... come siamo combinati?!”.

Erano amici, Paolo e Giovanni, come lo sono tanti ragazzi seduti in sala; vedersene restituire un ritratto così vicino e umano ne scioglie le timidezze e l’incontro si fa familiare e avvolgente. Così, Giovanni svela gli affetti ma anche le amarezze dei due giudici, l’invidia e l’avversione di alcuni colleghi, le dicerie di altri, l’istinto di fare del proprio dovere una priorità, ritagliandosi a fatica tempo per il riposo e per la famiglia.

C’era un impermeabile, appeso nell’ufficio di Borsellino; Paparcuri ne mostra la fotografia, spiegando che quel “kit di sicurezza” inviato dal Ministero della Difesa aveva un giubbotto antiproiettile che si rivelò difettoso alla prova balistica effettuata dagli uomini della scorta. Non sembra possibile, eppure è così. Ma tra le tante difficoltà, quello che rimane è l’immagine di uomini sorridenti e amici: Rocco Chinnici “un uomo dal cuore grande”, Falcone “che aveva un brutto carattere, ma nel preambolo alla sentenza del Maxiprocesso mi ringraziò citando tra virgolette, per pudore, la mia carica di “commesso” che io volevo inserire accanto al mio nome per far capire allo Stato come mi aveva trattato”, Paolo Borsellino, “che mi salvò dopo l’attentato, proponendomi quel lavoro”.

Non vuole che li si chiami eroi, perché in fondo lo è chiunque faccia la sua parte, sui banchi come nella vita. Scandisce, con la sua inflessione inconfondibile, la frase di John Kennedy che compariva nell’ufficio di Falcone e che il giudice faceva leggere a chiunque entrasse a far parte del mitico pool ideato da Chinnici: “Un uomo fa quel che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli e le pressioni. E questa è la base di tutta la moralità umana”. Sono parole dense, eppure arrivano anche ai più giovani come una rivelazione.

Giovanni si avvicina alle poltrone della sala, vuole annullare le distanze, come faceva il Consigliere Chinnici, “che andava a parlare nelle scuole come la vostra, sedendosi tra i ragazzi, per raccontare come la droga sia legata alla mafia, come ogni nostra decisione faccia la differenza”.

Si commuove, a tratti. Lo fa anche a conclusione del bellissimo video di una scuola elementare di Anzio, “L’appello”, che mostra a inizio incontro, strappando a molti una lacrima. Uno a uno, i bambini protagonisti del cortometraggio si alzano e rispondono all’appello della loro maestra, sul cui registro hanno sostituito i loro nomi con quelli di uomini dello Stato, svolgendo il compito assegnato sulla legalità in modo autentico e speciale: “Vito Schifani – Presente!; Rocco Di Cillo – Presente!; Antonio Montinaro – Presente!; Agostino Catalano – Presente!, Emanuela Loi – Presente!; Vincenzo Li Muli – Presente!; Walter Eddie Cosina – Presente!; Claudio Traina –Presente!; Francesca Morvillo – Presente!;  Paolo Borsellino – Presente!; Giovanni Falcone –Presente!”.

Rimangono nell’aria i loro nomi... e non c’è libro di storia capace di farli ricordare meglio.

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È la stessa commozione che si è sentita in sala nel pomeriggio precedente, il 9 maggio, quando l’intervento di Paparcuri è stato aperto a tutta la città.

A lui, che ci chiede come ci è sembrato l’intervento, quasi temesse di non aver fatto ancora abbastanza, rimane la fatica di ricordare e l’urgenza di volerlo fare, nonostante tutto. “Chi me lo fa fare? Il dottore Falcone, il dottore Borsellino. Lo faccio solo per loro”. E lo fa, ogni giorno, tenendo aperti ai visitatori gli uffici del bunkerino, ribattezzato “Museo Falcone – Borsellino”, presso il Tribunale di Palermo, e parlando con le scolaresche di mezza Italia, dalle quali riceve inviti a testimoniare.

Un privilegio enorme, essere di fronte a un uomo così raro, di cui si intuisce la modestia e il rispetto per capi che erano anzitutto persone di grande cuore, che ricorda sempre con quel titolo detto con riconoscenza: “il dottore Falcone, il dottore Borsellino”.

Ci sono uomini che testimoniano i loro valori con la loro semplice presenza. Hanno uno sguardo che sa riconoscere il falso dal vero con facilità, distinguendo l’utile dall’inutile. Uomini di cui le nuove generazioni e la scuola hanno un immenso bisogno.

Ci sentiamo debitori a Giovanni Paparcuri per questo enorme regalo.