Il Dantedì è la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri e si celebra in Italia ogni 25 Marzo. La data del 25 Marzo corrisponde allo stesso giorno del 1321, giorno in cui, secondo la tradizione, Dante muore. L'idea del Dantedì è nata da un editoriale del giornalista e scrittore Paolo Di Stefano, che ha avanzato la proposta che Dante Alighieri avesse la propria giornata nel calendario.
Ci sono molte curiosità sul celeberrimo poeta Dante Alighieri, ad esempio sappiamo che, come molti grandi autori, egli cambiò il suo nome da Durante a Dante, perché con quel nome prevedeva che non avrebbe avuto molto successo e sarebbe sicuramente stato deriso. Tantissime sono le notizie biografiche su Alighieri, tra cui l'esilio a Firenze, ma dopo tanti anni a vagare per città, il grande poeta decise di volerci ritornare... lo fece non chiedendolo semplicemente: egli voleva che fosse un Imperatore o un Papa a implorarlo a tornare. Purtroppo non fu così, perciò, per essere ammesso nuovamente in Firenze, dovette scusarsi con i Guelfi Neri.
Che cosa abbiamo fatto per ricordare questo grande personaggio della cultura italiana? In occasione del Dantedì, ci siamo divisi la lettura delle terzine del canto 26 dell'Inferno, che parla di Ulisse e Diomede.
Abbiamo copiato su un cartoncino la nostra terzina e poi l'abbiamo decorata... alcuni hanno disegnato anche Dante! Nel grande giorno del Dantedì, abbiamo spento le telecamere e abbiamo iniziato a leggere il canto del grande Ulisse... ognuno di noi ha letto la sua terzina nell’ordine del canto.
Ecco il testo... volete provare anche voi? Buon Dantedì!
"O voi che siete due dentro ad un foco,
s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
s’io meritai di voi assai o poco
quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l’un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi".
Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: "Quando
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.
Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi
acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.
"O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ‘ntrati eravam ne l'alto passo,
quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso".
Inferno, canto XXVI vv. 78-142
Dezire Alexe, Andrea Cassano, Giorgio Sardi e Sofia Tesio – II C